Accabadora

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    accabadora



    Titolo: Accabadora
    Autore: Michela Murgia
    Genere: romanzo
    Anno: 2009
    Nazione: ITALIA
    Edito da: Einaudi
    Trama: Perché Maria sia finita a vivere in casa di Bonaria Urrai, è un mistero che a Soreni si fa fatica a comprendere. La vecchia e la bambina camminano per le strade del paese seguite da uno strascico di commenti malevoli, eppure è così semplice: Tzia Bonaria ha preso Maria con sé, la farà crescere e ne farà la sua erede, chiedendole in cambio la presenza e la cura per quando sarà lei ad averne bisogno. Quarta figlia femmina di madre vedova, Maria è abituata a pensarsi, lei per prima, come "l'ultima". Per questo non finiscono di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della vecchia sarta del paese, che le ha offerto una casa e un futuro, ma soprattutto la lascia vivere e non sembra desiderare niente al posto suo. "Tutt'a un tratto era come se fosse stato sempre così, anima e fili'e anima, un modo meno colpevole di essere madre e figlia". Eppure c'è qualcosa in questa vecchia vestita di nero e nei suoi silenzi lunghi, c'è un'aura misteriosa che l'accompagna, insieme a quell'ombra di spavento che accende negli occhi di chi la incontra. Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.

    Premi: Premio Campiello 2010

    Libro sottoposto a Lettura collettiva a Settembre 2011.

    Tratto da ibs.it
     
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  2. Crispilla
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    La maggior parte dei lettori su Anobii ha dato a questo libro 4 o 5 stelle; io mi fermo a 3, massimo 3 e mezzo. Ora spiego il motivo. Come al solito, se ancora non l'avete letto, non oltrepassate la linea.


    Non c'è dubbio che la tematica affrontata dal libro sia interessante: l'eutanasia, ovvero il diritto delle persone che soffrono di una condizione misera ed irreversibile ad una morte dignitosa e, soprattutto, da loro stabilita in prima persona, da loro scelta, è argomento di dibattito attualissimo.
    Che in Sardegna esistessero (e credo esistano tutt'ora) delle figure predisposte a questo passo, che intendono come l'ultimo gesto amorevole di una madre nei confronti di una persona che soffre, non è cosa nuova. La stessa Murgia in un'intervista afferma che l'Accabadora non è una sua invenzione e che la tradizione sarda riguardo questa figura è molto vasta.
    L'Accabadora di questa storia ha nome Bonaria Urrai, e la prima scena che ci viene presentata è quella dell'incontro con Maria, la bambina che ha deciso di adottare, sottraendola ad una famiglia in rovina e ad una madre che sicuramente non ne sentirà la mancanza.
    L'intero ordito del romanzo ruota intorno al rapporto tra le due donne, e alla scoperta da parte di Maria del mestiere della madre adottiva. Rivelazione che la colpirà come un fulmine, spingendola addirittura ad andarsene non solo dal paese, ma dall'isola. Eh sì, perchè l'Accabadora, nonostante offra un servigio apprezzatissimo dalle famiglie dei morenti e sia tenuta per questo in grande considerazione, non gode certo di un'ottima reputazione agli occhi della società perbenista ed estremamente cattolica. Prendere una vita è peccato, anche se si tratta di un gesto di pietà estrema.
    La trama potrebbe funzionare e anche molto bene, ma a mio avviso esistono due problemi di fondo, uno legato alla mia esperienza personale e che quindi non ha nulla a che vedere con la Murgia, l'altro invece proprio a suo carico.

    Allora, se qualcuno tra voi ha visto il film Departures, sicuramente avrà notato una forte somiglianza tra la figura dell'Accabadora e quella del tanatoesteta. Ovvio, quest'ultimo non uccide materialmente il suo "cliente", bensì lo prepara con una cura delicata, quasi amorevole, per il viaggio finale. Entrambe le figure sono malviste dalla società perchè vivono a stretto contatto con la morte, tutti li schivano e li giudicano, tranne le famiglie degli assistiti, i quali nutrono invece riconoscenza e rispetto.
    Ecco, in questa visuale parallela, mi spiace dire che Accabadora perde su tutta la linea, non potendo competere con la poesia, la struggente delicatezza e filosofia di Departures. Certo, non si può paragonare un libro a un film, sono due forme artistiche diverse... però non posso farci niente se il paragone mi è venuto spontaneo mentre leggevo...
    Secondo: questo è un vero e proprio dubbio di trama. Dopo la scoperta della professione di Bonaria, abbiamo detto che Maria fugge e si trasferisce a Torino dove lavora come bambinaia. Ecco ho avuto la netta sensazione che i due o tre capitoli di Torino non c'entrassero nulla con il resto, che la Murgia avesse la necessità di mandare via Maria soltanto per farla tornare dopo un anno alla notizia della prossima morte di Bonaria, ed aumentare così il pathos.
    Eh...certi trucchi non mi sfuggono mai...
    Per carità, aveva tutto il diritto di farla andare via per poi tornare soltanto a fini di trama o emotivi, però ho proprio avuto l'impressione che tutto quello che viene raccontato di Torino fosse in più, inutile ed inutilmente anche tragico.
    La storia del bambino molestato ai giardinetti, il rapporto piuttosto morboso che instaurano...vabbé.

    Sono fatti che non aggiungono nulla alla storia e non fanno maturare Maria né le fanno comprendere di aver sbagliato a giudicare Bonaria.

    Un'ultima cosa che mi ha lasciata perplessa è lo stile.
    La scrittura della Murgia mi piace, ha un po' il fascino di una composizione non sfiorata da mano umana, dove le parole sono esattamente al posto dove dovrebbero essere. Tutte. E' una dote invidiabile a mio parere.
    Però leggendo prima Ave Mary, che è un saggio e poi questo, non ho notato le differenze stilistiche che invece dovrebbero esserci.
    In sostanta, non c'è dubbio che sappia scrivere un libro, ma forse ha ancora qualche problema nello scrivere un romanzo.
     
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  3. Merope Wood
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    Io darei a questo libro 4 stelle invece... beh... grosso modo ripeterò le stesse cose di Cri perché sono perfettamente d'accordo...
    Ho adorato il libro... innanzi tutto è da un po' che non trovavo uno scrittore che mi colpisse particolarmente per lo stile... non dico che di non aver trovato libri scritti bene, ma uno di quelli che appena cominciato già ti fermi a dire "toh. Questo scrive proprio bene. Questa scrittura ha qualcosa di particolare che la rende diversa dalle altre" accompagnato naturalmente da una bella storia (anche Pereira ha qualcosa di particolare dentro a livello di scrittura, però poi non c'è una storia che tenga il passo). In questo caso mi ha molto colpita il fatto che tutte le parole fossero dove dovevano essere e soprattutto mi sono tanto piaciute le similitudini molto fini sparse qua e là nella narrazione, che paragonavano le cose a qualcosa di più conosciuto (un po' l'uso che ne faceva Dante nella Commedia insomma). Una scrittura leggera, delicata, interessante, giusta.
    La storia tocca molto delicatamente un tema così problematico e irrisolto come è quello dell'eutanasia, lasciandola sempre lì, come fosse una fiera assopita, nascondendola agli occhi di Maria prima perché era troppo giovane per capire dopo anche per protehherla. Però nonostante tutto non te ne dimentichi mai, vedi ricamare queste bellissime scene di vita quotidiana, ma di quando in quando fa capolino, quasi a ricordarci che prima o poi questo nodo dovrà venire al pettine. Io francamente leggendo non avevo tutta questa fretta di arrivarci, mi godevo la storia, bella e viva come veniva, quindi quando tornava come un lampo mi sembrava quasi che volesse dirmi "Guarda che non puoi ignorarmi. Sappi che ci arriviamo. Il cerchio si stringe". E' stato un bellissimo modo di portarmi dove voleva arrivare.
    La cosa che mi è meno piaciuta è quella parentesi torinese. La capisco. E' utile che ci sia uno stacco mentale prima di tornare in Sardegna. Fa bene prima di tutto al lettore seguire Maria. Perché poi si torna indietro con lei e nel modo giusto per affrontare quel che deve essere. Però come crea questa parentesi non l'ho molto gradito. La prima cosa che ho pensato è che mi sembrava di trovarmi in un'altra storia. Poi va beh... scritto bene, lo si segue, anche bello... però è come se avesse messo insieme 2 romanzi uno nell'altro... e io, lettore, come ci torno indietro? In questo frangente ha messo davvero troppa carne al fuoco, materiale che, sviluppato per conto suo, avrebbe creato un altro romanzo interessante. E' un po' come quella storia dei quadri fiamminghi che raccontavo qualche giorno fa. Se tu fai tutto un quadro perfetto, con tutti i dettagli assolutamente curati eccetera, poi nell'insieme un po' perde l'opera, perché ci dev'essere un punto che catalizzi l'attenzione, se no l'occhio si perde. Se tu invece fai il tuo quadro normalmente e nella normalità intervieni con qualcosa di bellisssimo, l'insieme poi ci guadagna un sacco. Basta una cosa bella per dare luce a tutto. Forse coi capitoli torinesi ha finito per esagerare.
    Per il resto beh... con departures perde anche per quello che è il mio stile, però oltre ai personaggi simili penso si debba tener conto del contesto... la Murgia di per sé è riuscita benissimo a inserirlo nel contesto-Sardegna con uno stile adatto a una civiltà rurale...
    altra cosa che mi è rimasta impressa è quando parlano dell'importanza del conoscere l'italiano "tanto qua si parla tutti in sardo fuori da scuola..." perché rispecchia un pensiero molto forte che ha riscontro anche nel carattere degli isolani, cioè questa cosa per cui, non essendo geograficamente attaccati a nulla, allora non ci si sente legati a questa idea di patria insieme a qualcosa che è terraferma... cosa che poi ritorna anche quando Maria sarà a Torino e traccerà tutte le differenze questa città e il modo di vivere dei sardi...
     
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2 replies since 15/9/2011, 14:37   70 views
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